Burocrazia, giustizia civile, politicizzazione dei processi produttivi, criminalità organizzata, una forma invisibile di familismo produttivo e tante forme di caporalato sono il freno a uno sviluppo pieno e concreto del Lavoro, in Italia. Alcune nuove forme di innovazione tecnologica possono baypassare gli ostacoli, sempre che si trovino giuste misure di difesa del lavoratore.
Al sud, è risaputo, mancano le imprese e, conseguentemente, il lavoro. I motivi sono noti: alle difficoltà storiche, quali burocrazia, giustizia civile e politicizzazione dei processi produttivi, che impediscono su tutto il territorio nazionale la crescita e lo sviluppo di un sistema imprenditoriale serio, al Sud si aggiungono la criminalità organizzata, una forma invisibile di familismo produttivo e tante forme di caporalato. Non meraviglia quindi il dato di disoccupazione che al sud è quasi doppio che al Nord.
Dopo 150 anni dall’Unità d’Italia, il problema del lavoro nel Mezzogiorno non è mai stato risolto, chiunque fosse al Governo del Paese e trova difficoltà di soluzione anche in tutto il nostro Paese: troppe resistenze, troppe complicità, troppi lacci e laccioli legati a permessi, autorizzazioni, vertenze sindacali e giudiziarie.
Probabile che, a superare questo blocco delle potenzialità lavorative italiane, intervenga l’innovazione digitale. Si parla molto di crowd-work (lavoro-folla), una delle forme di lavoro digitale che sta prendendo piede ultimamente .
Come funziona?
I committenti postano su una bacheca virtuale i lavori disponibili e si rivolgono a una platea molto vasta, nazionale e, addirittura, internazionale: ingegneri, lavoratori edili, grafici, tassisti, contabili, imbianchini, elettricisti, idraulici, archivisti, artigiani di vari settori e molti altri. Il caso dei tassisti della Uber è quello più conosciuto per via delle note forme di protesta messe in atto dalle categorie ufficiali dei tassisti.
In termini più dettagliati, da una parte c’è il cliente che ha bisogno di un aiuto (tassista, idraulico, ragioniere, ingegnere, imbianchino, ecc..); dall’altra c’è il lavoratore. Il cliente non si rivolge, necessariamente, a un’agenzia interinale; si rivolge a un intermediario che può trovarsi anche all’altro capo del mondo ma che ha attivato una piattaforma digitale; a essa sono collegati tutti i lavoratori che hanno deciso di mettere a disposizione le loro professionalità; il cliente, tramite una applicazione, si collega all’intermediario digitale il quale, nel giro di pochi minuti, offre al cliente la disponibilità del lavoratore che per primo, tra gli iscritti idonei a svolgere il lavoro richiesto, risponde alla chiamata. Indica anche il prezzo richiesto per quel lavoro e il momento in cui può essere iniziato e finito. Il cliente, con un clic, decide se accettare o meno. Ovviamente, se si ha bisogno di un tassista, l’incrocio tra domanda e offerta è abbastanza facile. Per altri lavori è più complicato ma possibile.
Nasce così la “gig economy” l’organizzazione del lavoro che sfrutta i vantaggi delle nuove tecnologie, dove domanda e offerta s’incontrano in tempo reale e baipassano, a pié pari, problemi di burocrazia, giustizia civile, politicizzazione, organizzazione criminale, caporalato.
Questo è senz’altro un vantaggio per il committente che non deve aspettare tempi lunghi per trovare un lavoratore disponibile a svolgere una data commessa ed è un tipo di organizzazione che può risultare vantaggioso anche per il lavoratore pronto a rendersi disponibile anche per poche ore.
Il lavoratore in crowd work non ha rapporti verticali o orizzontali in azienda, ma semplicemente “rapporti” con la piattaforma on-line e quindi, per forza di cose, non indossa né la camicia dell’occupato stabile né quella del precario. Non è un lavoratore dipendente, non è un lavoratore autonomo. È il “crowd worker”, un lavoratore, punto.
I rischi per il “crowd worker” sono diversi. Per esempio, quello di ricevere un compenso irrisorio, di restare privo delle basilari tutele sulla sicurezza o di una valutazione congrua del proprio lavoro.
Quale la soluzione? Una potrebbe essere quella di creare un nucleo stabile di diritti in favore del lavoratore in quanto tale, sia egli stabile, precario, o appunto “crowd worker”, e superare il dogma del nostro diritto del lavoro (parasubordinato, subordinato, autonomo, interinale, temporaneo, occasionale)
Qualcuno ha parlato di “lavoratori alla spina”. Certo, non si tratta di una tipologia di lavoro che assicura la stabilità ma offre guadagni a chi ha necessità di flessibilità. Riduce senz’altro i costi di transazione e crea opportunità di lavoro. Se si trovano i rimedi perché non ci sia sfruttamento, questa via potrebbe essere la soluzione dei tanti mali che affliggono il mondo del lavoro.
Enzo C. Delli Quadri