Gomorra rappresenta, senz’altro, un grosso successo televisivo che appassiona, soprattutto, tutti coloro che possono usufruire di una pay-tv. Dicono che essa sia positiva perché denuncia, presso i giovani, la crudeltà della camorra e dei suoi protagonisti. Invero, per tutta una serie di motivi, essa sembra indulgente nei confronti della camorra stessa.
Innanzitutto, è costruita su di uno sfondo fuori dalla realtà: salvo casi rari, tutti i personaggi sono dei criminali, chi incallito, chi alle prime armi, comunque con pochi rimorsi, spinti solo e soltanto da sete di potere.
Inoltre, anche qui con poche eccezioni, pare che lo Stato non esista: né carabinieri, né polizia, né magistrati, né insegnanti.
E ancora, difficilmente si assiste alla vita vera di un camorrista, vita triste e disgraziata dove non c’è spazio per una passeggiata, per una carezza, per una gita al mare, per una pizza con la famiglia, in una serata tranquilla senza problemi.
Infine manca una, che sia una, figura positiva, che trattasi di una persona colta, di un vecchio saggio, di un pentito vero in cerca di redenzione. Niente.
Tutto si svolge all’interno di un truce gioco tra bande e uomini assetati di sangue e di vendette: “chiscte è u nuosctre” “chiscte è o mie” Tutt’apposte? No, primma adda murì” e lo spettatore viene a trovarsi a parteggiare per l’uno o l’altro dei personaggi, sperando che vinca quello più simpatico o più bello o più amato. Insomma, si finisce per essere trasportati dalla trama, dimenticando che siamo in presenza di criminali della peggiore specie.
Cosa possano apprendere di positivo i giovani da questa serie televisiva, resta un mistero. Piuttosto, sembra che si voglia inculcare il virus purulento del: chess’é la società, chisse è o munne; piglia n’arma e scpara.”
Enzo C. Delli Quadri