di Domenico Di Nucci

Nelle “candóinǝ” (locali dove si vendeva il vino), durante le scampagnate o in casa d’amici, spesso si giocava la passatellala posta in gioco consisteva, in ogni passata, in un bicchiere di vino, di birra o di liquore a testa per quanti erano i partecipanti. Tre erano le figure importanti: il padrone, il sotto e la donna.

Se il gruppo era molto numeroso, padrone, sotto e donna si sceglievano con la conta. Invece fino a 10 persone, si distribuivano 4 carte napoletane a testa. Era padrone chi aveva o 4 carte dello stesso seme (il cosiddetto fruscio) o quattro carte di seme diverso (la primiera) oppure chi totalizzava il punteggio più alto nello stesso seme. Invece il sotto era scelto tra chi totalizzava il punteggio minimo con due o tre carte; la donna chi aveva l’otto di denari. Le tre figure avevano compiti diversi: la donna, all’inizio era il personaggio più importante e contrattava con il padrone e il sotto il numero di bicchieri che poteva gestire in autonomia; a suo insindacabile giudizio poteva confermare i due se era accontentata, poteva altresì annullare la scelta di entrambi o di uno dei due. Un’altra scelta veniva fatta per surrogare la donna e i bocciati. E così fino a quando la nuova donna soddisfatta dava il via al gioco. Il padrone, che comandava il gioco, di norma beveva un bicchiere insieme al sotto se la passatella si preannunciava in pace altrimenti beveva da solo. Lo sfizio della passatella era far bere gli amici e non far bere (portare ulmǝ) i nemici.

Spesso si creavano estemporanee alleanze oppure c’erano partecipanti che si “tiravano ulmǝ” per sempre. Il sotto cercava di far bere quelli che il padrone portava ulmǝe viceversa. Se il sotto rifiutava tutte le proposte del padrone, quest’ultimo o beveva tutto o dopo aver bevuto quello che voleva, rinunciava al comando e da lì in poi comandava il sotto.

Chiaramente quando i partecipanti erano tanti, aveva più potere il sotto.

Il gioco era bello perché era un continuo duello con trabocchetti di ogni genere e se i due erano bravi lo spettacolo era divertente. Spesso si portava ulmǝil migliore amico perché poi finita la passatella iniziavano anche i commenti e spesso non dar da bere all’amico era come cementare il rapporto perché il tempo della passatella era fuori dal tempo reale, era un gioco e tale doveva restare per restituire alla prossima gli “affronti subiti.

La passatella era un romanzo continuo ad infinite puntate. Non sempre però le cose andavano in modo idilliaco e qualche volta gli sfottò degeneravano in scazzottate e risse.

Clamorose bevute restavano famose ed erano l’argomento di battute e commenti per lungo tempo. Ho partecipato ad una bevuta clamorosa nel 1957 durante una scampagnata  a “Ru Póndǝ Abballǝ”; dopo uno spettacolare pranzo all’aperto nella campagna di “Zǝ Mǝddiucciǝ” (Emidio Di Pratola), fu deciso di andare in riva al Verrino e fare la passatella nella piana de “Tǝzzaunǝ”. Eravamo ben 37 persone, io ero il più piccolo e tra gli altri, oltre ai familiari di zǝ Meddiucciǝ,c’erano mio padre, Felice Di Rienzo (Fǝlǝcéttǝ Cazzǝcandunǝ) Costantino Sabelli (Tǝbbéttǝ), Vincenzo Marcovecchio ed altri che non ricordo.

Ad un certo momento venne a salutarci un noto dottore accompagnato da Pèppinuccio Cocucci (ru dǝlǝgatǝ); logicamente li invitammo a bere e il dottore, quasi come se scherzasse, espresse il desiderio di partecipare alla passatella. Con una prima conta si indicava chi poteva scegliere il padrone, con la seconda chi scegliere il sotto, con la terza la donna. Padrone fu scelto il dottore anche per una forma di rispetto, sotto Fǝlǝcéttǝ (notoriamente i due si portavano ulmǝ) e la donna confermò. Esordì il dottore dicendo a Fǝlǝcéttǝ che bicchieri per lui non ce n’erano; Fǝlǝcéttǝ senza scomporsi rispose che allora non ce n’erano per nessuno; il dottore per non cedere lo scettro del comando cominciò a bere il primo bicchiere, poi il secondo, poi il terzo poi … bevve di seguito 37 bicchieri!

Poi i due andarono via. Restammo basiti e Fǝlǝcéttǝ ci deliziò con le sue battute.

Nel tardo pomeriggio ci si attrezzò per il ritorno e i due motofurgoni di proprietà di mio padre fecero un paio di viaggi; ci fu una ressa per salire nel cassone al punto che qualcuno si aggrappò ai pantaloni di Fǝlǝcéttǝ che non resistettero e si scucirono, denudandogli le natiche. Appena giunti a San Pietro, Vincenzo Marcovecchio riparò i pantaloni scuciti.

Gli sviluppi della bravata del dottore li conoscemmo dopo qualche tempo: raccontò Peppinuccio che a fatica lo riaccompagnò a casa, che s’era ridotto come “na chiòchiara vècchia” (una scarpa vecchia), che a stento lo aiutò a salire le scale mani e piedi fino alla camera da letto; che riuscì ad allungarlo su letto, che lo sorvegliò per tutta la notte. Lo studio rimase chiuso tre giorni, tanto durò la sbornia. Il dottore si rimise decentemente in piedi appena prima del ritorno dalle vacanze della moglie e dei figli.

La prima e l’ultima passatella erano normalmente pacifiche perché si dava da bere a tutti: si iniziava in pace e si finiva in pace. La passatella, se giocata elegantemente, era come una rivincita sulla modesta vita di ogni giorno: con i suoi giochi di parole, gli ulmǝ, le alleanze e le guerre di una serata, rappresentava pur sempre un magico momento di vita, di crescita in quel lungo gioco che da sempre è la vita di tutti.


[1]  In questo libro,Domenico, nativo di Capracotta, abbandona la nostalgia per i posti a lui familiari e si immerge nel territorio scelto da suo padre detto Carmǝnuccǝ ru salaruólǝ, (usava dire: La tua patria, è il posto dove stai bene. E scelse di vivere in Agnone). Tesse, così, un arazzo intrecciato dai variopinti fili della storia, del folclore, dell’aneddotica e dei ricordi che vengono esposti intre sezioni:  Pillole di Storia, che o vanno a colmare lacune e omissioni dei testi finora pubblicati o sono degli inediti, convinto di dare così un apporto costruttivo al grande mosaico che è la storia di Agnone; Pillole di Folclorecon l’evidenziazione di usi e costumi persi nel tempo, come le “cacciòttǝ” di frutta, il fuoco di San Michele, La scuracchjéata, la frasca, la candóina, la passatella, e altri; Personaggi, tratteggiati con perizia, maestria e malinconia perché conosciuti da vicino oppure attraverso i loro racconti. Le foto provengono dal suo archivio e da archivi privati; le parole o le frasi contenute tra due parentesi sono sue note. Cliccando su questo link potrete accedere alla Prefazione e all’Introduzione del libro http://www.altosannio.it/agnone-il-paese-dovera-sempre-mezzogiorno-prefazione-e-introduzione/.Chi fosse interessato al libro può scrivere a dinucci.domenico@gmail.com.

Foto di Giuseppe Nucci:  Al Bar della Centrale piazza di Vastogirardi un gruppo di amici gioca alla Passatella

EditingEnzo C. Delli Quadri
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