Un popolo o meglio, una parte di popolazione italiana tenuta al guinzaglio. “Mi raccomando, sta arrivando Giuseppe Conte, accogliamolo in religioso silenzio”, così chiosa Ignazio la Russa. E quella parte di popolazione, accalcata sotto un tendone della festa annuale di Atreju, obbedisce; silente e fredda, ascolta il discorso del Presidente del Consiglio che cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione sulla massa di problemi che attanagliano l’Italia: fisco, alleanze, sanità, manovra economica, iva, sviluppo economico … immigrazione. Solo a questa parola, la platea reagisce scomposta; al che Conte si sente in dovere di chiedere: Tra poco ospiterete Orban. Lui parla facile perché ha solo confini di terra. Chiedetegli quando lo vedrete cosa farebbe al nostro posto”; riceve in cambio un urlo bestiale “Blocco navale!”. È costretto a prendere atto che una parte di popolazione, che fino a un mese fa lo vedeva come un possibile alleato, gli è totalmente contro.

Cambia musica quando a intervenire alla festa è il primo ministro ungherese, Orban. La platea applaude fragorosamente tra urla di giubilo. Qualcuno, meno idolatra degli altri, mormora: “Sembra di essere in una puntata del Trono di spade”. E quando Orban cita la canzone “Avanti ragazzi di Budapest”, inno sulla rivoluzione antisovietica del ’56 e diventato negli anni liet motiv della destra, è un attimo. Tutta la sala scatta in piedi e la intona. Quel tendone sembra un prolungamento del suolo ungherese.

Fin qui, ci può stare. Orban è uno che sa scaldare le platee, dice cose di destra, sa lisciare quella parte di popolazione sensibile alle parole patria, bandiera, confini.

Il limite viene superato quando Orban se ne esce con: “Da noi in Ungheria si dice così: fidati di Dio, e tieni asciutta la polvere da sparo”. Folla in tripudio per una frase delirante che richiama moschetti, cannoni, guerra, non dissimile dall’altra pronunciata avverso il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: “Ho sentito che Conte mi chiede perché non aiutiamo l’Italia?”. Sorride al pubblico. “Noi siamo pronti, ma non vogliamo migranti in Ungheria. Siamo pronti ad aiutarvi a difendere i vostri confini e a rimandarli indietro”. Anche qui tripudio, senza il minimo dubbio di essere, con queste frasi incendiarie, dentro un  percorso logico che porta a scontri, conflitti, guerra e fame.

Qualcuno deve spiegare perché dobbiamo tener da parte polvere da sparo invece che una buona dose di dialettica per dialogare e ottenere lo stesso risultato senza fare guerre, ammazzare, trucidare.
Qualcuno deve spiegare perché dovrebbe funzionare un blocco navale. Forse che, incrociando un barcone di derelitti con donne e bambini, la nave che sta facendo blocco non è costretta, da trattati internazionali, a salvarli e portarli in un porto sicuro? Oppure si pensa di non rispettare i trattati internazionali? Oppure di sparar loro addosso? O semplicemente di lasciarli morire sui loro barconi? Oppure riportarli indietro con il rischio di dover confliggere con gli Stati restii a farsi imporre le leggi di Orban?

Purtroppo, contro il delirio la ragion non vale.