L’essenza della democrazia sta nel parlarsi. Da qui il termine che identifica le rappresentanze democratiche espresse dal popolo: Parlamento, luogo nel quale ci si parla e, in ultimo, si trova un compromesso. Solo nel caso in cui una rappresentanza ottenesse il 50% e passa dei consensi, il Parlamento potrebbe evitare di dialogare e deliberare tutto il programma presentato agli elettori durante la campagna elettorale. Ma questo non accade mai nelle diverse democrazie occidentali, quel consenso non arride mai a una sola forza politica, quindi, il parlare e il dialogare con altri e trovare un compromesso tra le diverse posizioni è un obbligo.

Tutto ciò premesso, fa specie vedere in televisione, sui giornali, sui social, il senatore Gianluigi Paragone che afferma, urlando e battendo i pugni sul tavolo: obbedisco al programma elettorale, non sono io il traditori, sono gli altri che stano tradendo le promesse fatte agli elettori. Fa specie ascoltarlo o leggerlo perché, durante il periodo di governanza giallo-verde, il Conte 1 per intenderci, mai e poi mai Gianluigi Paragone ha sollevato il problema della coerenza delle decisioni rispetto al programma elettorale: salvare Salvini dalla Magistratura per il caso Diciotti (sequestro di persona), condoni vari, decreti sicurezza, e altri provvedimenti non facevano parte di quel programma. Mai si è levata la sua voce, neanche flebilmente, per affermare la purezza del programma elettorale.

Ne consegue che Gianluigi Paragone è un leghista in pectore (diresse il giornale La Padania) prestato temporaneamente ai 5 Stelle. La sua azione è diretta a destabilizzare il Movimento, a favore di Salvini. Il suo compare Di Battista, chiaramente odiatore della sinistra (in questo poco si distingue dai fratelli d’Italia), gli fa da spalla, denunciando una sua appartenenza filosofica e ideologica ben lontana dal Movimento di cui si reputa rappresentante.