Giuseppe Conte fa lo gnorri: “Dopo l’Emilia ci siamo impegnati a ripartire – il senso dei suoi ragionamenti – che senso ha questa escalation? Abbiamo tempo per trovare una soluzione, a patto che si scelga il pragmatismo e non la rigidità”. Sembra scendere dalle nubi, come un Checco Zalone qualsiasi. Si meraviglia, appare sconcertato e preoccupato. Da uomo di codicilli normativi, immaginava che tutto potesse procedere in base, che sò,  al comma 1bis dell’art. 438 del codice di procedura penale. Non immaginava che esiste la Politica, l’arte che attiene al Governo di una Nazione. Essa non contempla codicilli, non contempla pragmatismi, non contempla regole prefissate, essendo, Essa, l’arte della composizione dei conflitti che spesso richiedono percorsi accidentati, non prevedibili e non riconoscibili.

Egli stesso ha sperimentato che si può essere capo di un governo tendenzialmente di Destra per diventare, in una notte, capo di un governo tendenzialmente di Sinistra. Difficile trovare in questo sperimento un qualcosa di pragmatico, parola a lui tanto cara. Pertanto, non dovrebbe meravigliarsi più di tanto se qualcuno pensa che occorra una discontinuità vera tra il Governo salviniano e quello che oggi lui presiede, a cominciare dalla sua persona e dalla sua destinazione ad altro incarico. Non penserà davvero di diventare il riferimento base per tutti i progressisti italiani?

Questo può dirlo, sbadatamente, un Nicola Zingaretti in preda a fumi non quantificati né qualificabili che continuano a inondargli il cervello visto che tutti i giorni continua a blaterare su ampie convergenze tra PD e 5S nonostante questi gli sputino addosso ogni possibile contumelia. Può dirlo un Nicola Zingaretti immemore che, su tutti i dossier aperti, le sue posizioni sono sempre state diametralmente opposte a quelle dei 5S. Può dirlo un Nicola Zingaretti immemore che Conte è un tecnico prestato alla politica su designazione proprio dei 5S stufi di lui e del suo mostrarsi.