Le scommesse sono fonte di importanti entrate statali e rappresentano una delle principali cause della crescita economica in Italia. Si gioca sulla malattia che prende tanti individui che amano giocare: Lotterie, Gratta & Vinci, portali in rete e slot machine, tutto fa brodo per fare cassa. È fortemente immorale ma lo Stato non se ne fa scrupolo. Una indagine, condotta dall’Iss (Istituto Superiore della Sanità) e ripresa dal Corriere della Sera, fornisce dati che consentono una seria riflessione.
Una decina di anni fa gli italiani spendevano in scommesse una ventina di miliardi di euro. Il 2019 si è chiuso con un nuovo record che segna una progressione geometrica: 109,4 miliardi giocati, secondo le prime stime dell’Agenzia delle Dogane che gestisce le concessioni. È pari a circa il sei per cento del Pil, una novantina di miliardi di euro più di un decennio fa. È possibile, magari probabile, che senza le sirene dell’azzardo a ogni angolo delle nostre città le stesse somme sarebbero state spese in altri modi. Forse avremmo avuto lo stesso fatturato, solo impiegato più produttivamente, dunque l’economia sarebbe cresciuta di più. Quando si mettono insieme i fatti degli ultimi dieci anni, tuttavia, prende forma in concreto un’altra storia: l’aumento del fatturato lordo del solo settore delle scommesse legali in Italia supera (di poco) l’aumento del fatturato dell’intera economia nazionale. Siamo cresciuti tanto quanto è cresciuto il gioco d’azzardo, non un euro di più.
Naturalmente ci sono anche le vincite che sono molto elevate ma gli italiani tendono a rigiocarsele subito. Vincono e rigiocano, perdono e rigiocano. Questo enorme ingranaggio circolare del denaro lascia allo Stato un margine lordo di 19,4 miliardi (stime dell’Agenzia delle Dogane sul 2019) dei quali circa otto servono per remunerare le concessionarie. Il giro d’affari delle scommesse frutta dunque all’erario pubblico circa dodici miliardi di euro netti, inclusi i circa 700 milioni da tasse sulle vincite del Gratta & Vinci, del Superenalotto o delle macchine Vlt. In altri termini, senza gioco d’azzardo legale il deficit e il debito pubblico dell’Italia rischierebbero seriamente di finire fuori controllo se il governo non reperisse dodici miliardi con altre tasse o nuovi risparmi.
Si fa cassa e non ci si cura del giocatore.
Lo studio dell’Iss dice che il giocatore-tipo è un maschio di mezza età, spesso ha iniziato a giocare prima dei 25 anni, abita in Italia centrale (dove ha scommesso nell’ultimo anno il 42% della popolazione), è divorziato o separato (lo sono il 45% dei giocatori), è occupato (il 42%) ma ha solo la licenza media (il 40%), fuma e beve superalcolici fra una e tre volte la settimana.
I problemi più gravi però riguardano tre milioni di italiani definiti «problematici» o «a rischio moderato», perché danneggiano o mettono in pericolo se stessi o la propria famiglia a causa della dipendenza dall’azzardo. Poco meno del 6% della popolazione di Sicilia e Sardegna risponde a questa definizione e quasi il 5% nel resto del Mezzogiorno: un terzo di loro, dichiara di aver iniziato a giocare «in base a una pubblicità vista o sentita». Un terzo della popolazione totale (e oltre il 40% fra i maschi) sono anche i teenager minorenni che ammettono di aver giocato d’azzardo nell’ultimo anno. Più di uno su quattro fra loro dice di averlo fatto per la prima volta prima dei 12 anni, sono più concentrati al Sud, studiano di solito negli istituti tecnici (non nei licei della borghesia) e per lo più dichiarano di avere un rendimento scolastico «insufficiente». Sono gli italiani di domani, quelli chiamati a sostenere il debito pubblico con le loro perdite alle slot machine.