Passeggiando per il mio paese, molti anni fa, vicino ad ogni portone di casa, potevo osservare un negozio di alimentari, abbigliamento, arredamento, libri, tabacchi oppure un laboratorio ad uso di un falegname, sarto, calzolaio, fabbro, orefice, seggiolaio, sellaio, vasaio, ramaio, stagnaro, materassaio. Da tutte, si levava un chiacchiericcio allegro, festoso a volte ilare:  “Uoje, signora maja, le cerasa cosctane 200 lòire a ru kòile” “ te fusce scemenòite ngape. Faciàime 150 e dammene mese kòile” [1] oppure “m’aviscia arraccungià scta seggia” “chi ce s’è assettéate che la squarecchiéta ch’è bbéuna solo pe ru fuóche?[2]

Poi è giunta l’epoca dei prodotti industriali e dei centri commerciali, con i primi che hanno falcidiato le attività artigianali e i secondi che hanno indebolito le piccole attività commerciali alimentari, fino ai giorni nostri  in cui osserviamo che la relazione diretta tra chi chiede un servizio e chi lo offre, tra chi compra e chi vende,  sta definitivamente scomparendo, sostituita da un click sulla tastiera di un pc o di uno smartphone.

Il click funziona come un colpo di pistola diretto alla testa della bottega del borgo o del quartiere, determinando un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano: librerie, alimentari, tabaccherie, edicole. L’elenco delle attività che ogni giorno chiudono o vedono scricchiolare la propria stabilità è lungo e in continua crescita.

Inoltre, dietro quel click con il quale, forse per necessità (vivendo in zone sperdute), comunque con facilità, spensieratezza, indifferenza e distacco, noi attiviamo un acquisto a distanza, si nasconde un mondo a tinte fosche: giganteschi magazzini centralizzati disegnati da una necessità di logistica intelligente (distribuzione e consegna) cui sono collegati, oramai, i nuovi proletari in bici, su furgoni e furgoncini sottoposti ad algoritmi pazzeschi che determinano ritmi infernali. Si distribuisce di tutto, perfino la colazione, il pranzo e la cena.

La conseguenza di tutto questo nuovo sistema, determinato da un click dietro a una scrivania, è l’eliminazione delle botteghe e, con esse, cosa inquietante, l’eliminazione della passeggiata in giro a guardar vetrine e, soprattutto, l’eliminazione di ogni contatto e relazione umana. In tempo di coronavirus parrebbe una fortuna. In tempo di guerra, anche. Ma possiamo immaginare di vivere sempre come se fossimo in guerra con i virus o con l’ISIS o altri stati stranieri?

La Politica, quella vera, serve per eliminare le paure, dare coraggio a chi non ne ha e ad evitare che tutto scivoli verso una società fantasma dove l’unica relazione concreta diventa quella con una tastiera e un display. Tornasse la Politica, allora, quella seria, vera, che guardi al futuro di una Comunità di Persone e non di Robot.


[1] “Oggi, signora mia, le ciliegie costano 200 lire al chilo” “Credo che tu sia diventato scemo, te ne dò150 e mi dai mezzo chilo” [2] “Dovresti sistemare questa sedia” “Chi ci si è seduto visto che l’ha tanto malridotta ch’è buono solo per ilfuoco”