Oramai è abbastanza assodato che il primo caso di coronavirus nell’Unione europea si è manifestato in Germania, molto prima dell’epidemia esplosa in Italia. I dati scientifici parlano chiaro. Il paziente zero, un cittadino tedesco di 33 anni, il 20 e il 21 gennaio aveva partecipato ad un meeting insieme ad una collega di Shanghai. La donna, in Germania dal 19 al 22 gennaio, era asintomatica. Accusò primi malori il 26 gennaio, proprio durante il volo di ritorno in Cina, e risultò positiva al virus Covid-19. La donna informò tempestivamente i colleghi tedeschi della propria positività. L’uomo, reduce da una breve influenza, era già rientrato al lavoro. Risultò positivo al test, anche se ormai asintomatico. Come se non bastasse, però, il 28 gennaio risultarono positivi altri tre impiegati dell’azienda.
Il resto l’hanno fatto gli eventi: molti tedeschi in ferie, soprattutto in Italia, tornati in Germania sono stati trovati positivi. Oggi tutti reputano gli italiani come degli untori, responsabili della diffusione del virus in Europa. Questo perché il governo tedesco ha filtrato la realtà dei fatti, non dando il giusto pubblico risalto alla presenza di un focolaio non controllato a Monaco, precedente a quelli italiani. I tedeschi in ferie in Italia, tornati in Germania e trovati positivi, potevano essere positivi già da molto prima che fossero giunti in Italia.
Possiamo quindi affermare che non è l’Italia che ha esportato il virus in Europa.
Purtuttavia non possiamo assolverci perché trattiamo l’argomento con ironia e superficialità, riteniamo che il problema riguardi gli altri, non rispettiamo le regole: malati di coronavirus vengono ospitati tra le corsie di medicina generale dell’ospedale di Codogno; abitanti di quel luogo, appresa la notizia dell’infezione locale, pensano bene di scapparsene in giro per l’Italia ritenendo di essere sani e immuni e non preoccupandosi minimamente di poter essere portatori di infezione; ragazzi e ragazzini scalpitano per sentirsi liberi e irresponsabili; tifosi maledicono chi ha deciso di chiudere gli stadi; amministratori di circoli sportivi o culturali ritengono che le loro siano isole immuni; giornalisti, invece di informare la popolazione circa le elementari regole da osservare come stare a distanza di almeno un metro, starnutire nell’incavo del braccio, lavare le mani, evitare strette di mano, si preoccupano solo di fare polemiche politiche, le TV informano in modo esasperato, contraddittorio, ospitando politici piuttosto che scienziati.
Tutto questo è il sintomo chiarissimo di un popolo facilone.
Succede così che l’Italia sia già al secondo livello di preoccupazione: situazione con un numero crescente di introduzioni del nuovo virus e di segnalazioni più diffuse di trasmissione localizzata da uomo a uomo nel Paese.