Oramai è stato accertato che gli ospedali italiani non hanno alcuna dimestichezza con le epidemie, salvo ovviamente quelli specializzati dove è prassi attenersi a certe determinate procedure. Lo dimostrano i numeri dei contagiati tra il personale sanitario: più di 5000, quasi il 10 per cento di coloro risultati positivi al tampone, percentuale che in Lombardia sale al 12. Lo dimostrano le dichiarazioni di diversi illustri professori italiani raccolte da Repubblica oggi in edicola.
Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, ammette: “Nelle strutture specializzate in malattie infettive è la prassi, ma in un ospedale generale non sempre si fa attenzione a certe procedure”…. “Dovremo fare una riflessione approfondita su quanto è successo”.
Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova e consulente della Regione Veneto per l’emergenza Covid-19, sostiene: “Temo che in Italia manchi la cultura per affrontare le epidemie. Le persone che ci hanno consentito di uscire dalla malaria, dal tifo e dal colera purtroppo non sono più tra noi, altrimenti questa epidemia avrebbe avuto un’altra storia”.
Enrico Bucci, professore di Biologia dei sistemi alla Temple University di Philadelphia: “I medici non sono preparati, perché da generazioni non hanno visto un’epidemia come questa. C’è urgente bisogno di un cambio di mentalità, che coinvolga e tuteli principalmente il personale sanitario e le strutture ospedaliere. Occorrono Test continui per tutto il personale sanitario, identificazione dei medici immuni da utilizzare nelle zone a rischio, utilizzo di personale ausiliario meno esperto per il controllo degli accessi, delle procedure di sicurezza e per la vestizione dei medici, preparazione di strutture residenziali dedicate per il personale medico”.
Pierluigi Lopalco, professore di Igiene all’Università di Pisa e ora consulente della Regione Puglia per l’emergenza coronavirus, ammette: “Purtroppo la normale organizzazione di un ospedale non è adatta a fronteggiare un virus che si trasmette per via aerea e con un alto tasso di contagiosità, anzi spesso fa da centro di diffusione” e ancora “Paradossalmente, in questo momento in cui tutta Italia è chiusa in casa, gli ospedali sono gli unici luoghi dove migliaia di persone si ritrovano a stretto contatto. Anche lì andrebbero prima di tutto ridotte le relazioni interpersonali, per esempio rendendo impossibili i passaggi da un reparto all’altro”. Richiesto poi di esprimere un suo parere circa il rispetto della massima igiene negli ospedali italiani, Lopalco sottolinea la scarsa attenzione alle normali procedure ospedaliere: “Mi riferisco per esempio alla scarsa abitudine del personale a lavarsi le mani. Se si vanno a guardare le statistiche dell’Oms, si scopre che il consumo di gel disinfettante negli ospedali italiani è abbastanza basso rispetto agli standard. Le norme, invece, prevedono che un medico si lavi le mani dopo aver visitato ogni singolo paziente”. E circa l’organizzazione da approntare al più presto: “Occorrono percorsi differenziarti per i malati di coronavirus. Ogni malato va trattato come se fosse positivo. Anche chi arriva per una frattura deve indossare la mascherina”.