In una intervista rilasciata a Repubblica e pubblicata oggi, il membro del Consiglio Superiore della Magistratura, già  Presidente dell’Associazione Magistrati di Palermo e cittadino onorario di decine e decine di Comuni italiani, il giudice Nino Di Matteo, spiega il cosa e il perché della polemica con Alfonso Bonafede, ministro di Grazia e Giustizia.

Sul cosa, ha ribadito tutto il suo malessere per la posizione assunta dal Ministro nei suoi confronti: “Era lunedì, il 18 giugno. Ero a Palermo, a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma, nel mio ufficio alla procura nazionale antimafia. Squillò il telefono una prima volta, con un chiamante sconosciuto. Non risposi. Suonò di nuovo. Era Bonafede. Mi pose l’alternativa, andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali. Aggiunse che dovevo decidere subito. “Bonafede chiuse il telefono dicendo ‘scelga lei’ “.
Il giorno dopo, Di Matteo si recò di persona dal Ministro e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini, mi chiese se lo conoscessi e lo apprezzassi. Risposi di no, che non lo avevo mai incontrato”.
A proposito di quali potessero essere le motivazioni di quel cambio di posizione del Ministro, Di Matteo rivela che:  “Bisogna fare un passo indietro. Dopo le elezioni alcuni giornali scrissero che c’era un’ipotesi Di Matteo al Dap. Dell’esistenza del rapporto lo appresi il giorno prima o lo stesso giorno della visita. Mi chiamarono da Roma dei colleghi per dirmi che c’era una cosa molto brutta che mi riguardava. In più penitenziari, per esempio all’Aquila, boss di rango avevano gridato “dobbiamo metterci a rapporto col magistrato di sorveglianza per protestare contro questa eventualità”. Subito dopo 52 o 57 detenuti al 41 bis, ciascuno per i fatti suoi, avevano chiesto di conferire. A quel punto era stata fatta un’informativa diretta a più uffici di procura e al Dap”. “Il ministro si mostrò informato della questione”.

Alla domanda del perché abbia parlato solo ora di questa incresciosa vicenda, Di Matteo spiega: domenica sera, quando ho sentito fare il mio nome inserendolo in una presunta trattativa – e sia chiaro che lo rifarei negli stessi termini – ho sentito l’irrefrenabile bisogno di raccontare i fatti, al di là delle strumentalizzazioni”…..”se si parla del perché non è stato scelto Di Matteo per fare il capo del Dap io ho il diritto di dire come sono andati i fatti. Se mi chiameranno in una sede istituzionale andrò a spiegare quei fatti per come li ho vissuti. Ma almeno adesso mi sono tolto un peso”.

Nota bene. Sempre su Repubblica di oggi si legge che sono 376 fra mafiosi e trafficanti di droga. A Palermo, 61. A Napoli, 67. A Roma, 44. A Catanzaro, 41. A Milano, 38. A Torino, 16. Tutti mandati ai domiciliari per motivi di salute e rischio Covid, nell’ultimo mese e mezzo. Una lista riservata che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha inviato solo mercoledì scorso alla commissione parlamentare antimafia, che l’aveva sollecitata più volte al capo del Dap Francesco Basentini, che alla fine si è dimesso, travolto dalle polemiche per le scarcerazioni. Una lista che preoccupa anche i magistrati delle procure distrettuali antimafia, dalla Sicilia alla Lombardia, che continuano ad opporsi al ritorno dei boss nelle loro abitazioni, sollecitando piuttosto il trasferimento in centri medici penitenziari, che peraltro sono strutture di eccellenza della nostra sanità.