C’è, in economia, un termine che pochissimi conoscono e utilizzano: ofelimità. Il termine fu introdotto da Vilfredo Pareto per distinguere tra desiderio e utilità. Infatti, si può essere desiderosi di un bene (bene ofelime) ma non è detto che quel bene sia utile (esempio, il fumo). Viceversa, un bene può essere utile ma non ofelime, cioè non desiderato (esempio, una iniezione per un bambino). Ebbene, l’economia si regge molto sui desideri che vanno ben oltre l’utile. Sono utili i beni primari che soddisfano i bisogni primari dell’uomo come cibo, abbigliamento, sicurezza, sanità, ecc. Premesso che nel cambiare dei costumi delle popolazione, la distinzione non è netta, non necessariamente utili ma importanti e desiderabili (ofelimi) sono i beni secondari, cioè beni di largo consumo ma non di prima necessità: dalla seconda e terza casa al secondo e terzo cellulare, dall’automobile alla ciclette, ecc..
Ieri, sull’Huffington Post, il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita, ha ripreso questo concetto per affermare in modo perentorio e categorico: “Io sono spaventato dalla depressione del desiderio che vedo arrivare. La ripresa la fanno le persone, non il governo. Se lo stato ti dà i soldi per comprare una bicicletta, il denaro per pagare la baby sitter, gli incentivi per andare in vacanza, se cioè si preoccupa di non farti mancare niente, uccide l’iniziativa. Castra la libido. Il desiderio nasce dall’assenza. La pioggia di bonus, invece, lo spegne. Raffredda lo slancio. Inibisce la carica erotica del Paese”. “Quello che mi preoccupa è la costituzione psicologica dell’Italia. Perché la società non è fatta di circolari, di ordinanze, di protocolli. È fatta di testa, mani, rabbia, fantasia, ansia, voglia. Uno Stato che non sollecita le imprese del singolo, non incita l’attività, scoraggia i progetti, produce inerzia, attesa, rassegnazione. Nessuno si è mai ripreso così”.
Il fondatore del Censis, poi, continua nella sua dichiarazione, contestando le decisioni del Comitato Tecnico-Scientifico e ponendo un problema non da poco nel mettere a confronto l’esigenza dello sviluppo con quella di salvaguardare gli anziani: “Quando qualcuno mi incontra sul marciapiede, mi guarda con angoscia. Io detesto la mascherina e mi rifiuto di indossarla. Questo sconcerta. Le persone mi vedono e raggelano. Poi, cambiano strada. Mi stupisco ogni mattina della paura che vedo in giro. Lei se lo sarebbe mai aspettato? Non dico i lombardi e i veneti – per loro era ovvio. Io dico tutti gli altri. Anche a Roma c’è gente terrorizzata. Un vecchietto, al semaforo, mi ha visto in macchina senza mascherina e ha iniziato a urlare ai carabinieri: ’Arrestatelo, arrestatelo!”. Io sono un uomo vecchio. Ho vissuto la mia vita. Che vuole che me ne freghi di disinfettarmi le mani ogni quarto d’ora. Se è arrivato il momento di morire, morirò e amen”.
Quanto alla crisi economica, De Rita ha dichiarato: “Mi preoccupa l’idea che sarà lo Stato a tirarci fuori da questa situazione. Ho sentito più volte accostare il dopo pandemia al secondo dopoguerra. Molti dimenticano che la ricostruzione non l’ha fatta il governo. L’hanno fatta milioni di persone. Chi costruendo una casa, chi tirando su un’azienda, chi facendo una stradina per raggiungere un pezzo di terra”. “Negli anni della ricostruzione, lo Stato si è mobilitato per fare ciò che i singoli non potevano fare. Infrastrutture, sistemi industriali, reti elettriche. Questo dovrebbe essere lo spazio dell’intervento statale anche oggi: fornire strumenti per stimolare l’iniziativa imprenditoriale, non distribuire sovvenzioni ad personam, soffocando la vitalità degli individui.