Non ci sto ad associarmi al coro dei festanti che vedono in Giuseppe Conte il Salvatore della Patria, accostato addirittura a Roosvelt. Ieri ho letto una dichiarazione di Bersani, sconvolgente: “Quello di prima (Renzi) è stato il più sopravvalutato, Conte è il più sottovalutato. È innegabile che non goda di buona stampa, anche quella democratica. Perché? Ve lo spiego io. Non dico che Conte sia Roosevelt ma lui è uno che non ha il guinzaglio corto e acerti mondi dell’economia e dell’informazione i tipi troppo autonomi non sono mai piaciuti”. Così Bersani, lo smacchiatore di leopardi, l’uomo politico che riuscì a non vincere le elezioni politiche del 2013, pur avendo la possibilità di sbancare, l’uomo che la Ditta sono io, l’uomo che va avanti a botta di battute.

La verità, di cui difetta la società italiana, forse perché in preda alla paura, è che Giuseppe Conte è solo un bravo avvocato e, come tale, per mestiere e attitudine, prende a cuore le difese sia di un delinquente sia di un innocente. Così si spiega come possa essere stato, in pochi mesi, sia il capo di una coalizione di destra, sia un capo di una coalizione di sinistra. Così si spiega come tutta la sua azione sia di sistemazione amministrativa dei vari fascicoli aperti e di difesa strenua delle sue decisioni, sia che si tratti di decreti sicurezza, sia che si tratti di regolarizzazione degli invisibili per lo più extra-comunitari, sia che si tratti di quota 100 gradita alla Lega, sia che si tratti di reddito di cittadinanza gradito ai 5S, con il risultato di avere una Italia sospesa a metà tra assistenzialismo e corporativismo. Così si spiegano due decreti legge, quello del Cura Italia e quello di aprile, poi maggio e poi Rilancio con i quali l’Italia si indebita per oltre 80 miliardi per interventi a pioggia ancora una volta all’insegna dell’assistenzialismo e del corporativismo, con decisioni che rasentano l’offesa se non il ridicolo: 3 miliardi per una società decotta come l’Alitalia e solo 1,5 miliardi per la Scuola, tanto per dare una idea di come questo novello Roosevelt veda il futuro del nostro Paese. Ognuno ha chiesto di tamponare l’oggi ma nessuno ha offerto progetti, anche solo spunti innovativi per prepararsi al domani. Dai cassetti dei centri studi e delle strutture ministeriali sono riemersi solo vecchi dossier impolverati. E Giuseppe Conte ha mediato tra i vecchi dossier, senza saperne proporre alcuno nuovo.

Salvo Italia Viva, che guarda al futuro nella incomprensione dell’informazione e dell’opinione pubblica troppo presa da antipatia e storielle di piccolo cabotaggio, non è stata lanciata alcuna idea che sottendesse una visione,  un’idea che facesse anche solo discutere, nel bene e nel male, ma che aprisse un dibattito, una polemica, un confronto. Non a caso Del Rio, capogruppo dei Democratici alla Camera dei Deputati, ha dichiarato: “l’afasia di palazzo Chigi — nascosta dietro un ginepraio di norme incomprensibili e difficilmente applicabili — può produrre la rottura del rapporto di fiducia tra il Paese e le istituzioni, che apparirebbero inadeguate agli occhi dei cittadini.

Il Mondo sta cambiando a una velocità che il Covid-19 sta rendendo difficilissima da inseguire: Aumenterà la globalizzazione digitale e cambierà il mondo del lavoro. Si lavorerà da casa nella stessa città o nello stesso Paese o addirittura in Paese Esteri, il mondo dei trasporti sarà ribaltato, aumenterà l’automatizzazione, saranno rivoluzionati sia i processi produttivi, sia i prodotti, aumenteranno le ingiustizie sociali. Ma presso la Corte di Giuseppe Conte continuerà a prevalere il linguaggio burocratico di un bravo avvocato intento a monitorare la pandemia per poi emanare l’ennesima autocertificazione o la decimillesima norma transitoria.