In primis, aveva tentato Veltroni nel 2007, proprio con la nascita del PD sulle spoglie del PDS e della Margherita e prima ancora del PCI e della DC di sinistra. Nominato segretario del nuovo nascente Partito Democratico, Veltroni diede una sterzata non di poco alla angusta e novecentesca politica del PCI e alla non chiara collocazione dell’allora Margherita. Fece anche il contrario di quanto da secoli suggeriva Machiavelli: scopo della politica non è organizzare la forza necessaria alla conquista e alla conservazione del potere. Questo è semmai un vincolo strumentale, che non può e non deve essere trascurato. Ma il fine della politica deve essere un altro, deve essere il perseguimento dell’interesse del Paese, attraverso la costruzione del necessario consenso attorno a un programma di governo. Di conseguenza il nascente Partito Democratico non avrebbe puntato a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia potesse essere, ma a porsi l’obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore. Cosa inghiottita dai dirigenti dell’ex PCI ma mai digerita. E la mal digestione si disvelò alle elezioni del 2008, perse da Veltroni seppur con una percentuale di tutto rispetto (il 33%). Infatti trasformò Veltroni in un punching ball (persona destinata a subire attacchi come vittima designata). Chi furono ad impegnarsi al massimo contro Veltroni? D’Alema e Bersani. Fondarono un’associazione parallela al PD di nome ReD e iniziarono un tesseramento parallelo a quello del Partito. Politicamente accusarono Veltroni di non avere un obiettivo preciso e voler collaborare (anatema) con Silvio Berlusconi sulle riforme istituzionali. A più di due anni dalla fine naturale del mandato di Veltroni, da una riunione di ReD nel 2009, nacque, come logica conseguenza, l’idea di una candidatura di Pier Luigi Bersani alla segreteria del PD. Veltroni fu costretto alle dimissioni.
Nel 2013, con Berlusconi alle corde inseguito dalla magistratura, Bersani sbagliò un gol a porta vuota: vinse le elezioni ma non la posta del Governo. Fu una vittoria di Pirro.
Dopo un po’ arrivò Renzi con idee non dissimili da quelle di Veltroni e sempre convinto, come Veltroni, che il fine della politica deve essere il perseguimento dell’interesse del Paese, attraverso la costruzione del necessario consenso attorno a un programma di governo.. In quest’ottica ci fu il famoso incontro al Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Cosa accadde dopo è storia recente. Nonostante un risultato enorme, sorprendente, incredibile del 41% dei consensi, i soliti D’Alema, Bersani e compagnia bella, dapprima silenti, iniziarono la stessa azione condotta contro Veltroni: fondarono un partito alla sinistra del PD e, con l’aiuto di tanti ascari rimasti all’interno del Partito, aiutarono Berlusconi, Salvini e altri a far saltare Renzi. Ne godette il nascente M5S che sbaragliò tutti alle elezioni del 2018 con un fantastico 33% contro il PD sprofondato al 22%. Renzi finì ai margini maltrattato più che mai dai suoi.
Con la nomina del nuovo segretario Zingaretti, dopo il periodo frenetico di Renzi, il PD è tornato placidamente alle vecchie logore nostalgiche liturgie maledettamente noiose e lente. Per di più con il vice-segretario Orlando sempre più propenso a soddisfare la mandria di bradipi polverosi e sonnacchiosi che ancora pullulano numerosi nel PD.
Nel luglio 2019 ci volle l’energia e la forza politica di Renzi per evitare che continuasse la manfrina Lega-M5S o che si andasse alle elezioni come pronosticato e previsto da Zingaretti. E fu ancora Renzi che mise sull’avviso il PD ad evitare ammucchiate con i 5S allo sbando. Inascoltato, il PD conobbe la sonora sconfitta in Umbria. Si riprese quando si presentò con un candidato autonomo indipendente e chiaramente progressista come Bonaccini, in questo caso appoggiato da Renzi. Nonostante ciò, il PD indicò il M5S come l’alleato su cui fondare il futuro politico e assurse Conte a figura irrinunciabile dei progressisti nonostante questi abbia sgovernato per oltre un anno con la Lega firmandone i decreti dichiaratamente umanamente inaccettabili.
Arriviamo ad oggi e rileviamo che, sempre con ritardo come al solito, i dirigenti del PD si accorgono di essersi infilati in un buco grigio-nero con alleati che sono più destrorsi che di destra, non affidabili, non storicamente e culturalmente aderenti a un ceppo politico chiaro. E, incredibile ma vero, fanno l’occhiolino a Berlusconi, si sentono traditi da Conte, fanno a pugni con i 5S per il MES, prospettano votazioni sullo stile dell’approvazione della TAV (tutti dentro salvo i 5S) su investimenti e sviluppo e, ironia della sorte, continuano a dare addosso a Renzi, l’unico che ha sempre avuto le idee chiare su cosa significhi una sinistra al passo con i tempi.
Senza quei signori, mandria di bradipi polverosi e sonnacchiosi che considerano il PD cosa nostra, oggi il PD viaggerebbe ancora su cifre superiori al 30%.