Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, i partiti erano cristallizzati. Ad ogni elezione si misuravano variazioni percentuali dello zero virgola e tanto bastava per esultare al successo in caso di variazione positiva o deprecare in caso di variazione negativa.  

Ai giorni nostri i sommovimenti sono impetuosi, Si passa da una 40% a un 4% con la velocità della luce. L’Opinione pubblica non è più legata a ideologie o dottrine o filosofie o scuole di pensiero. Guarda all’oggi e poco si cura del domani, osserva gli accadimenti dell’ultimo trimestre se non dell’ultima settimana. E può succedere che sia sufficiente una pandemia per stravolgere un quadro politico che sembrava stabilizzato.

Infatti, in questa tornata elettorale del 20-21 settembreha vinto il COVID-19. Tutti i governatori Regionali, che erano alla guida della loro regione, sono stati confermati a stragrande maggioranza, inimmaginabile prima della pandemia. Questa li ha portati all’attenzione spasmodica dell’elettorato. Spot continui giornalieri sui giornali e in TV, senza soluzione di continuità. Che fossero espressione di partiti di destra o di sinistra, in Campania, in Veneto, in Puglia, in Liguria hanno stravinto i Governatori uscenti De Luca, Zaia, Emiliano, Toti. Le altre due regioni, Toscana e Marche, non presentavano come candidati i precedenti Governatori e sono finite sotto la gestione, rispettivamente, di Giani del centrosinistra, la Toscana, e di Acquaroli del centro destra, Le Marche.

Ne ha fatto le spese, doppiamente, Salvini, perché ha perso sia all’interno del suo partito, sia nel confronto con le altre forze politiche nazionali. In particolare, al Nord, Zaia ha raggiunto il 75% dei consensi ma, soprattutto, la sua lista personale, pur “scippata” dei pezzi più pregiati come consiglieri e assessori, ha raggiunto il 47%, vale a dire, il triplo delle liste ufficiali del partito boccheggianti intorno al 15%. Un plebiscito atteso ma non per questo meno doloroso per la segreteria nazionale. Nel resto d’Italia, il suo progetto di Lega Nazionale, sul modello lepeniano non sfonda, nonostante  i toni responsabili e l’assenza di  azioni roboanti come le incursioni al citofono. In concreto la Lega di Salvini è azzoppata. Da oggi, la sua crescita è azzerata e la leadership è contendibile. Le cifre, in proposito, sono impietose. Dappertutto, la Lega nazionale di Salvini, accerchiata dagli scandali finanziari e attesa da inchieste e processi, ha perso decine di punti percentuali. Non ne hanno approfittato Meloni e Berlusconi che mantengono le loro posizioni, con Forza Italia, o avanzano di poco, con Fratelli d’Italia.  Viceversa, ricevono una abbondante boccata d’aria il PD e Conte, con i 5S ridotti a quarto partito nazionale, dopo Lega e Pd, confortati a malapena dal risultato del referendum sul taglio dei parlamentari che, siamo certi, non porterà alcun vantaggio ad alcuno dei partiti. Ce ne dimenticheremo ben presto. 

Pertanto, finiranno in freezer gli entusiasmi per la vittoria del Sì e cesseranno le esortazioni a favore del “voto subito”. Alle elezioni, infatti, con quale gerarchia di coalizione si andrebbe? E con quale candidato leader. Da domani si tornerà nella melassa condita dai miliardi che l’Europa si accinge a prestarci. Si riprenderà a parlare, discettare,  discorrere, di “riforme”, della legge elettorale, delle rivendicazioni di chi vorrà pesare di più, di Ilva, Autostrade, Alitalia, si, no, cucù.