Ricordate l’aggressione alla Fondazione Open, l’ente nato nel 2012 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi, come la Leopolda, e quel che ne derivò? Tagliò le gambe a Italia Viva appena nata. Era al 6% con molte probabilità di successo, precipitò al 3% e non si è più ripresa. 

Nel novembre 2019 i pm fiorentini aprirono un fascicolo con l’ipotesi di reato di traffico d’influenze illecite e il finanziamento illecito ai partiti. Fu coinvolto, tra gli altri, anche l’imprenditore e manager del fondo Algebris, Davide Serra, che aveva effettuato erogazioni liberali in favore di detta Fondazione Open. Ma nel fascicolo non c’era alcuna ipotesi di reato. Ciononostante, la Procura aveva chiesto di sequestrare il computer utilizzato dall’imprenditore e la posta elettronica che aveva archiviato.

A dodici mesi di distanza la Cassazione ha stabilito che quell’atto era nato sbagliato. Perché troppo generico sull’ipotesi di reato ma, anche e soprattutto, perché non serviva a verificare una tesi accusatoria, ma a trovarne una. A cercare, dal nulla e su file che potevano essere anche molto riservati, una possibile traccia di un qualche reato. Il sequestro, scrivono nelle sei pagine di motivazione i giudici della Cassazione, aveva “primari fini esplorativi”.

“Depositate le motivazioni dell’annullamento dei sequestri fatti a danno di chi aveva finanziato la #Leopolda, si scopre che quel blitz fatto in grande stile risalente a 12 mesi fa, poche settimane dopo la  nascita di Italia Viva, fu illegittimo, danneggiò Italia Viva.  Il tempo si conferma galantuomo, ma chi paga il prezzo degli errori?”.