È demoralizzante la cantilena dei conduttori delle varie trasmissioni politiche su La7, che si tratti di Piazza Pulita di Formigli o di DiMartedì di Floris o dell’Aria che tira della Merlino o di Otto e mezzo della Gruber: c’è continuità o meno tra il governo Conte e il governo Draghi? Sembrano tanti vedovelli o vedovelle del fu Conte uno-due, di destra e di sinistra. Scene patetiche arricchite dalle facce contrite di Travaglio, Padellaro, Scanzi, Gomez, Severgnini.

Non si occupano di quel che succede quotidianamente e di dar loro una valutazione, una comprensione, un apprezzamento o una critica, no, loro devono solo affermare, preventivamente, che non c’è discontinuità, facendo la figura di struzzi appesantiti da zavorre mentali. Eppure, di fatti da valutare ce ne sono tanti: attengono al piano vaccini, da una parte, e al piano economico, dall’altro. Uno fra tutti: il ruolo italiano in Europa. 

In Europa, è l’Italia che, nel campo sanitario,  sta imponendo alla Commissione Europea la politica di reciprocità tra l’EU e gli altri paesi del mondo, per cui nessun prodotto europeo deve essere esportato verso i paesi che non operano in modo reciproco verso di noi; è ancora l’Italia che afferma: o la commissione opera come di dovere oppure l’Italia farà da sola.

In Europa, è l’Italia che, in economia, sta dando una sterzata a un modo di procedere lento, impacciato, scoordinato. Proprio ieri, nel summit europeo dei capi di stato, Draghi ha denunciato tutte i limiti di un’integrazione politica ed economica parziale come quella europea: difficoltà nella produzione e nell’approvvigionamento dei vaccini, diffidenze reciproche, vecchie divisioni, complicazioni burocratiche, rischio di una fuoriuscita dalla recessione a più velocità. A questa denuncia ha fatto seguire proposte concrete che saranno il piatto forte della discussione dei prossimi mesi. Ha chiesto ai partner di stare attenti e di non sbagliare le mosse durante la ripresa dell’economia, che potrebbe arrivare già nella seconda parte dell’anno. «Dobbiamo disegnare una cornice per la politica fiscale che sia in grado di riportarci fuori dalla crisi». Quella cornice non sarà più il Patto di Stabilità e crescita, congelato fino alla fine del 2022. Serve un altro Patto. Serve concentrarsi in particolare sui criteri di rientro sul debito, ammorbidendoli. Significa ritoccare le regole sull’entità del taglio annuale del debito, ridimensionando pesantemente il Fiscal compact, lo strumento che ha imposto le pesanti politiche di austerity ai Paesi in difficoltà. Serve una Golden rule sugli investimenti verdi e digitali, dunque legati al Recovery, che verrebbero in qualche modo scorporati dal debito.

Ma la vera novità, come riportano tutti i giornali di oggi, sta nella proposta — peraltro già avanzata quando vestiva i panni di banchiere di Francoforte — di creare un titolo comune europeo. Serve anche in Europa un “safe asset”, un titolo garantito dagli Stati membri che li preservi da nuovi eventuali shock finanziari. Un nuovo passo, dopo quello del programma del Nex Generation Eu, verso la condivisione del debito. E il modello è ancora quello americano: «Negli Usa — ha spiegato Draghi — hanno un’unione dei mercati dei capitali, un’unione bancaria completa e un safe asset. Questi elementi sono la chiave del ruolo internazionale del dollaro». Senza questi strumenti, si riduce l’azione unitaria dell’Europa sul piano economico e finanziario, e dunque politico.  Un titolo comune europeo, allora. «Lo so che la strada è lunga — ha insistito il presidente del Consiglio — ma dobbiamo cominciare ad incamminarci. È un obiettivo di lungo periodo, ma è importante avere un impegno politico».

Riusciranno i nostri eroi, Travaglio, Scanzi, Padellaro e compagna bella a comprendere quel che sta accadendo davanti ai loro occhi?