Solo qualche anno fa, in una intervista al Corriere della Sera, il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, rispondendo a una domanda sull’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ne parlò in maniera tanto lusinghiera da candidarlo a punto di riferimento di tutti i progressisti d’Italia. Oggi, Zingaretti, e con lui D’Alema, Orlando, scoprono che Giuseppe Conte è il punto di riferimento di quattro grillini scappati di casa che si confrontano all’arma bianca pur di conservare il dominio sul proprio piccolo orticello coltivato dopo la sbornia del 33% alle politiche del 2018.

È lo stesso Zingaretti che, con gli amici ex-comunisti D’Alema e Orlando, fecero polpette di un giovane politico italiano di nome Renzi reo di aver portato il PD al 42%. “Renzi è troppo propenso a politiche di destra”, dicevano. Così facendo e disprezzando le politiche di centro, Zingaretti e compagnia bella sono tornati al 20%, lo zoccolo duro post comunista. 

Ne azzeccassero una! Ma sono nati con la camicia …Si ritrovano comunque al governo. Grazie a chi? Ma grazie a quel Renzi che loro disprezzano ma che nel 2018 li aiutò per respingere al mittente le proposte di pieni poteri di Salvini e a fine 2019 li convinse a mandare a casa il Conte geloso della gestione solitaria dei servizi segreti e disperso lungo la via della seta, passando per l’accoppiata Trump-Putin. 

Nonostante tutto questo, anche il neo segretario del PD, Enrico Letta si muove ancora nel solco dettato da quel Zingaretti e dal gatto e la volpe, D’Alema-Orlando. Con una certa supponenza e autoindulgenza, dopo le amministrative, si è adagiato su consolatorio “siamo il primo partito”. Primo partito de che? …direbbero a Roma, vista l’astensione al 50% e il deserto che si è creato attorno al PD. Per cui, non si capisce nemmeno perché Enrico Letta si ostini a chiamare ancora questa cosa “campo largo”, dizione coniata ai tempi di Conte “punto di riferimento dei progressisti europei”. E, di fronte alla logica reazione di chi vede questa situazione al limite del kafkiano, la parola che Letta pronuncia è “pazienza”, come di fronte a una semina ben fatta di cui si attende il raccolto, senza alcuna ansia di tempesta che si profila all’orizzonte. Il M5S intercettava il popolo deluso dalla politica. Oggi quel popolo è andato da un’altra parte (a destra e nell’astensione). Dieci anni fa Grillo arrivò in una piazza osannante a Bologna portato a spalla su un gommone. Domenica scorsa è rimasto sul suo gommone in Sardegna e non è neanche andato a votare a Genova, dove il Movimento si è pressoché estinto. Nel seggio di Grillo, 1 solo elettore, dico uno solo, ha votato per il M5S.

Forse il Pd pensa davvero di essere al riparo dallo tsunami, perché il voto gli ha dato il contentino fumoso di primo partito italiano (con un 20% che, al netto degli astenuti, si riduce al 10%) . Il tanto che basta per concedersi il lusso di filosofeggiare con la sola idea della contrapposizione alla destra, variante meno pirotecnica dell’antiberlusconismo che fu. 

Si svegliasse Letta da questo torpore da prete che lo fa stare sereno. L’esperienza insegna che a furia di star sereni si salta in aria. Lasciasse perdere la zavorra della sinistra-sinistra e affronti a viso aperto il mare dell’atlantismo, dell’europeismo e del RIFORMISMO. Troverà tanti su questo percorso, pronti a dare una mano per una Italia affrancata da sovranismi pecorecci e da nostalgie novecentesche.