Immagino Vittorio Feltri che, di fronte alle piogge di questi giorni, inarca il sopracciglio e spara una delle sue proverbiali sentenze da incorniciare tra le più enormi stronzate mai pronunciate nella storia dell’umanità, tipo “del clima me ne frego, mi interessa la figa; tutti a lamentarsi che manca l’acqua; stamattina ho aperto la finestra, veniva giù un diluvio della madonna, non rompetemi il c…”

Il tapino che valuta il fattore clima solo aprendo la sua finestra e guardando appena un metro dal suo naso non sa che l’urgenza è assoluta, la mancanza di acqua è drammatica (abbiamo il 20 per cento di acqua piovana in meno rispetto al secolo scorso) ; i segni della desertificazione di intere aree dolorosamente visibili; le condizioni di alcune filiere agricole potenzialmente disastrose. 

Purtroppo nel dibattito pubblico molti sono presi dalle battute di Feltri fino a far prevalere un colpevole e inspiegabile fatalismo che rasenta l’irresponsabilità collettiva e individuale, finanche a convincerci che l’acqua sia talmente abbondante da essere considerata sostanzialmente senza valore. Si può prendere a piacere. Si può perderla a piacere. Siamo il Paese con il consumo pro capite (215 litri a testa al giorno) più alto della media europea (125). La perdita dei nostri acquedotti è del 42 per cento. Raccogliamo l’acqua piovana e la sfruttiamo solo al 10 per cento. Gli invasi sono pochissimi. 

Si pensa a istituire un Commissario per la gestione del sistema idrico nazionale. Ma è solo una toppa su un buco troppo grande: In Italia vi sono 30 mila enti, 10 mila uffici. Un intreccio diabolico di competenze locali e nazionali. Inoltre, le comunità si oppongono alla costruzione di invasi.
Un giorno non lontano, se non subentrerà un minimo di coscienza civica, l’Italia si sveglierà invasa da lotte intestine tra località per l’accaparramento di una risorsa, l’acqua, che oggi consideriamo abbondante, ma col tempo, stando alle previsioni climatiche, diventerà come l’oro.