Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha depositato un fascicolo con la richiesta di revisione del processo contro Olindo e Rosa (nella foto), dichiarando che intende agire . “per amore di verità e giustizia e per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo”. Rosa Bazzi e Olindo Romano, persone semplici con i pregi e i difetti delle persone normali, furono accusate di una strage, a colpi di armi bianche e modalità di tipo terroristico, nei confronti dei vicini di casa: Raffaella Castagna, il suo bambino, Paola Galli, madre di Raffaella, e la vicina Valeria Cherubini. Furono condannati all’ergastolo. Lo stanno scontando ormai da 17 anni.
Le prove? Sono tre: una testimonianza, una macchia di sangue, la loro confessione. Inoppugnabili, all’apparenza.
La testimonianza
Il testimone fu il signor Mario Frigerio, oggi defunto, marito della vittima Valeria Cherubini, rimasto miracolosamente vivo sulle scale. Quando lo interrogarono dichiarò di aver visto nei momenti della strage uno sconosciuto, un uomo bruno, “di carnagione scura, olivastra”. Successivamente, in tribunale, il signor Frigerio cambiò versione e riconobbe nel signor Olindo l’autore della strage. Il procuratore generale, che chiede la revisione, rileva la contraddizione, attribuendola all’azione del luogotenente dei carabinieri che per nove volte interrogherà il signor Frigerio non sullo “sconosciuto dalla pelle olivastra”, ma su una persona che lui incontrava tutti i giorni, Olindo Romano, fino a inoculare nel ricordo del teste il dubbio e a trasformare le sue deposizioni in atti d’accusa nei confronti del vicino. Ci sarebbero, quindi “falsità in atti o in giudizio”.
Una macchia di sangue sul tacco della scarpa di Olindo.
Qui il procuratore generale parla di quella macchia come della “prova regina dell’innocenza” di Rosa e Olindo. La scienza, con una consulenza biologico-genetica, denuncia addirittura una “accertata inconciliabilità” tra la traccia rilevata e quella repertata. E, a proposito di sangue, è mai possibile che dopo un agguato a base di sgozzamenti, con quattro persone uccise, neanche una goccia sia rimasta sugli abiti o sulle scarpe o nell’abitazione di Rosa e Olindo?
La confessione.
Ci sono state le confessioni, se in seguito ritrattate. Sono le dichiarazioni di due persone semplici, di cui una, Rosa Bazzi, con visibili carenze cognitive, cui qualcuno aveva detto che “poi” sarebbero stati rimandati a casa. Ed è sufficiente riguardare le riprese audio-video della preparazione che precedeva gli interrogatori per farsi un quadro di quel che è successo in quei giorni, quando una diceva “va bene così?” e l’altro “ma mettete quel che volete”. Dichiarazioni oggi considerate dal pg Tarfusser come “false confessioni acquiescenti”.
Nuove intercettazioni e Nuovi Testimoni
Al di la delle contestazione su testimonianza, macchia di sangue e confessione, ci sarebbero, come fatto nuovo, le intercettazioni ambientali captate in ospedale durante la degenza del signor Frigerio e mai depositate al processo, e due nuovi testimoni: un ex maresciallo del nucleo operativo dei carabinieri di Como che, già sentito in indagini difensive, è pronto a testimoniare l’abitudine di certi suoi colleghi a fare pressioni su indagati e testimoni; c’è poi una persona residente nella casa della strage, che faceva parte di un gruppo di spacciatori abituato all’uso di armi bianche, pronto a raccontare qualcosa che avrebbe potuto portare a piste alternative che 17 anni fa nessuno volle seguire.
Le considerazioni del procuratore Cuno Tarfusser portano a definire la questione come errore giudiziario. Di conseguenza, c’è da tremare all’idea di come sia facile distruggere le vite di “persone semplici” incapaci di sapersi difendere da un sistema ipocrita e chiaramente inefficace.
Viene alla mente il povero Pinocchio di fronte al Giudice.
(…) Preso allora dalla disperazione, (Pinocchio) tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato. Il giudice era grande e grosso: un vecchio rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d’oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo di una flussione d’occhi, che lo tormentava da parecchi anni. Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l’iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia. Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello. A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: – Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo, dunque, e mettetelo subito in prigione (…)”